La Venezia del Cinque e Seicento non si trovava molto distante dall’inferno. A vederla dal nostro punto di vista, che inevitabilmente mette in primo piano da una parte gli splendori di Palladio e Tiziano, Jacopo Sansovino e Paolo Veronese, Claudio Monteverdi e Giovanni Gabrieli, e dall’altra il monumentale organismo urbano ritratto da Jacopo de’ Barbari nella sua pianta prospettica datata 1500 tondo tondo, facciamo fatica a immaginare cosa potesse essere la vita per quanti, ricchi e poveri, nobili o miserabili, popolavano questo immane formicaio in cui l’essere ammazzati per strada era cosa di ogni giorno, così come l’essere sbattuti in galera e torturati, l’assistere a esecuzioni pubbliche di inimmaginabile crudeltà, il prostituirsi o il vivere in condizioni estreme di miseria umana ed economica. Queste migliaia di persone di ogni ambito e ceto sociale hanno lasciato, nel corso della propria vita, una quantità impressionante di tracce documentarie che ancora oggi, a più di quattro secoli di distanza, popolano l’imponente patrimonio archivistico conservato in città. Una materia prima non certo facile da utilizzare, sia perché quello del ricercatore è un mestiere che richiede conoscenze, capacità e tecniche particolari, tanto maggiori quanto più ci si allontana nel tempo con la propria indagine, sia perché dominare e tenere le fila di un numero enorme di informazioni “puntiformi”, che è necessario comprendere, contestualizzare, collegare fra loro per ricostruire un’immagine il più possibile compiuta, è lavoro difficilissimo e, credo, sfibrante.
Il libro di Melania Mazzucco si propone come una biografia di Jacopo Tintoretto e della sua famiglia ma basta vederne la mole un po’ impressionante (1021 pagine, 1,8 kg) per capire che contiene molto di più. Nasce da una vastissima ricerca storica e archivistica durata un decennio e non solo ricostruisce con un dettaglio forse difficilmente immaginabile prima la vicenda biografica di tre generazioni della famiglia Robusti (per quanto il cognome possa valere in un’epoca in cui esso non ha ancora assunto né stabilità né peso legale e amministrativo) ma riesce a collocarla in un contesto urbano, culturale, economico, di relazioni umane, politiche e professionali incredibilmente articolato, da cui esce un’immagine a tutto tondo della città nel secolo che va più o meno da metà Cinquecento a metà Seicento.
Chi sia Tintoretto lo sanno tutti: meno era noto come, al di là di una biografia che conteneva molti buchi, la sua immagine presso di noi fosse stata delineata non tanto dalla verità storica quanto dal mito che attorno a lui e alla figura della figlia-pittrice Marietta si era sviluppato soprattutto nell’Ottocento. Detective di implacabile pazienza, la Mazzucco risale alle origini bresciane della famiglia e riporta alla luce il vero Jacomo e la vera Marietta, figlia illegittima di una madre rimasta misteriosa, pittrice senza opere certe ma anche cortigiana, poi moglie per forza di un orafo e madre a sua volta di Orsola, di cui viene ricostruita attraverso documenti giudiziari la misera vita come tenutaria di una pensione dalle parti di San Salvador e vittima di un marito violento e ubriacone. Con loro Faustina, la moglie di Jacopo e i figli ufficiali, nati all’interno del matrimonio: Domenico, l’unico noto per aver anche lui fatto il pittore, e poi Marco la pecora nera, Zuan Battista morto lontano da Venezia chissà quando e come, Ottavio morto bambino, e poi Gierolima e Lucrezia, costrette a farsi suore a Sant’Anna, e Ottavia e Laura, le due che il padre fece sposare. Allargandosi sempre di più, il racconto si porta dentro personaggi grandi e piccoli: l’orafo Marco Augusta e Sebastian Casser, giovane garzone di bottega con donna e figli che sposa l’attempata e vedova Ottavia, artigiani e parroci, soldati e commercianti, i vicini di casa e i contadini di uno sperduto villaggio svizzero ma anche Tiziano e Pietro Aretino, la cortigiana Veronica Franco e le meretrici Lucretia polacca, Loredana Malipiera e Marietta di Candia, e poi magistrati, patriarchi, ambasciatori e dogi. Le vicende si dipanano in decenni decisivi per la storia della Serenissima Repubblica, che vedono l’inizio del tramonto della Venezia regina dei mari e del commercio e il manifestarsi di quel lunghissimo crepuscolo che, prima di arrivare alla fine, dovrà conoscere un diverso tipo di splendore, quello altrettanto grande seppur meno terribile della Venezia del Settecento.
La Mazzucco tutto analizza e tutto cerca di capire e spiegare, dal funzionamento delle tintorie alla vita delle prostitute, dallo svolgimento dei processi alle reti infinite di relazioni e conoscenze fra personaggi grandi e piccoli. E’ straordinario come riesca non solo a gestire con lucidità impeccabile una ricostruzione storica con mille rivoli e centinaia di personaggi, ma anche come la sappia trasformare in un racconto privo del minimo sentore di aridità che inevitabilmente finisce quasi sempre per condizionare qualunque lavoro scientifico.
Libro nel libro, sono un capolavoro i capitoli dedicati al convento di Sant’Anna e alle sue vicende durante la lunga vita delle Tintorette suor Perina e suor Ottavia. Storie terribili emergono dai documenti, racconti di violenze sessuali, di traffici di prostituzione, di tentativi di fuga o ribellione puniti con arresti e torture. Esse gettano una luce ancora più sinistra su questi luoghi che avrebbero dovuto essere case di ritiro e preghiera ma erano in realtà carceri nelle quali figlie e figli sfortunati per non essere i prescelti da far sposare venivano rinchiusi per salvaguardare la conservazione dei patrimoni. Allora come oggi, le ragioni della “robba” dominano su tutto e tutti.
Melania G. Mazzucco, Jacomo Tintoretto e i suoi figli. Storia di una famiglia veneziana, Rizzoli 2009