Siamo ormai al catalogo quotidiano dei tuffi in canale, delle biciclette in calle, dei bivacchi in campo. Continuare su questa linea diventa noioso e rischia di trasformarci in macchiette che girano per strada a cercare sempre nuovi esempi di attentati al glorioso splendore di quella che fu la Serenissima. Insomma: vedere qualcuno seduto sulla riva con le gambe penzoloni, o su un gradino a mangiare un panino di per sé non sarebbe nulla di particolare, né tanto meno qualcosa per cui sia necessario urlare allo scandalo.
Certo, la cerebrolesa che qualche giorno fa ha esibito al colto e all’inclita le proprie chiappe sbiadite mentre in pieno giorno orinava (speriamo almeno che l’azione fosse quella) sulla Riva degli Schiavoni di fronte al Danieli è un caso estremo per il quale invocherei una pena del contrapasso sulla quale preferisco non dettagliare. Però trovo fastidioso sia il concentrarci di noi cittadini su questi episodi trascurando quanto sta a monte del fenomeno, sia – e ancor di più – il furbastro trombettare degli amministratori, che puntano i fari su tuffi, bivacchi e biciclette per farci dimenticare che il vero problema sta altrove.
Troppo spesso in Italia (forse non solo, ma qui di sicuro) non conta tanto quello che si dice ma semplicemente il fatto che si dica qualcosa. E così i vertici del nostro governo, dimostrando una capacità di amministratori pari a quella della mia lavastoviglie predicano di istituire un DASpo speciale per i turisti maleducati (Luca Zaia, presidente della Regione del Veneto), oppure chiedono poteri da sceriffo per mettere in cella di sicurezza chi fa la pipì fuori del vaso (Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia), oppure sbandierano come soluzione l’idea di estendere all’intera città, o almeno alle zone più calde, il servizio di quelle signorine che in Piazza San Marco vanno a fare toc toc sulla spalla di buzzurri e incivili dicendo loro che non è così che ci si comporta (Paola Mar, assessore al turismo). Col risultato principale, come ci raccontava un articolo apparso ieri su un quotidiano locale, di raccogliere vagonate di insulti.
Ora, che ci siano o ci facciano è difficile dirlo, però sarebbe ora di scolpire nel marmo a caratteri cubitali che se una soluzione può esistere, questa risiede nel ridurre la pressione turistica sulla città di Venezia. E’ ora di diminuire il numero di persone che arrivano ogni giorno dell’anno perché nessuna città di queste dimensioni, e men che meno una città particolare come Venezia, è in grado di reggere il peso di 30 milioni di turisti l’anno. In mezzo ai quali è inevitabile che ci sia una quota di buzzurri che non distingue Tintoretto da Topolino, ma è una quota fisiologica nel genere umano e destinata a calare nel momento in cui diminuiranno le orde in arrivo. Ed essendo le orde più contenute sarà più agevole gestirle, anche per quanto riguarda il comportamento della quota dei buzzurri.
E’ fondamentale quindi ragionare sugli accessi alla città, non blaterando di impossibili e del tutto inutili numeri chiusi a San Marco ma lavorando sulla gestione programmata e flessibile degli accessi all’intero centro storico. E’ possibile? Lo è, come dimostra per esempio il lavoro di pass4venice. Non ho i mezzi per capire se questa è o meno la soluzione definitiva, ma un progetto del genere è la prova che il problema è affrontabile, delimitabile e risolvibile. Sarà poi indispensabile fare un passo indietro sulla liberalizzazione delle licenze di apertura di strutture a uso turistico (legge regionale, voluta dallo stesso Zaia che adesso predica il DASpo turistico), regolare quelle che resteranno e fare in modo che sia il mercato immobiliare delle abitazioni sia quello dei negozi torni almeno in parte in uso alla popolazione residente.
Basta quindi sbrodolare su insulti e attentati alla gloria passata. E’ ora di lavorare sul serio perché gli strumenti, tecnici e legislativi, ci sono già tutti. Non fare, in questa situazione, significa solo dichiarare di non voler fare.
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