Christophe Bohum lavora come semplice impiegato nell’azienda che fu del padre, magnate dell’acciaio travolto dalla crisi finanziaria degli anni Trenta. Vive ancora nella casa, tetra e fredda, che ha visto le fortune della famiglia, con una moglie con la quale intrattiene rapporti non più che formali, un figlio che gli è estraneo, una cugina separata che da tutta la vita è innamorata di lui e l’anziano padre divorato dalla tubercolosi. Diviso fra due donne che non ama, deluso da una vita che non gli ha lasciato alcun margine di decisione nel costruire il proprio presente, vive in una sorta di apatico torpore la morte del padre e la scoperta di documenti che potrebbero, se solo volesse, cambiare la sua esistenza. Ma quell’unica occasione che la vita gli offre di diventare nel bene e nel male artefice del suo destino Christophe la rifiuta, lasciandosi trasportare nella deriva che segue la scomparsa del vecchio, l’abbandono della casa, l’addio della cugina. Ancora una volta pessimismo, determinismo e cupa ossessione per il potere del denaro sono al centro di un racconto di abbagliante perfezione nel quale i personaggi, “pedine sulla scacchiera” prive di autonoma energia, lasciano che il destino decida per loro, portandoli impotenti e disillusi a una inevitabile tragedia. Per certi versi, a pensarci, un’agghiacciante premonizione. Bellissimo, anche grazie alla traduzione di Marina di Leo.
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