The high tide experience

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Questa mattina il dio Meteo ci ha graziato con un’acqua alta che, al confronto di quelle che hanno reso così simpaticamente complicata tutta la settimana testé trascorsa, era veramente una cosetta da niente. Sicuramente non su acquette altine così fa leva l’albergo che si è inventato la Winter high tide experience, un’offerta per un week end coi piedi a mollo che nel tutto compreso, fra pernottamenti e aperitivi, mette anche una Dotazione di galosce, di orari delle maree, mappa e guida cartacea per scoprire i luoghi più suggestivi di Venezia con l’acqua alta. Tutto probabilmente molto divertente per chi con l’acqua alta non ci ha a che fare quando gli tocca andare a lavorare o a fare la spesa, resta solo da capire come si coordina la necessaria programmazione di una vacanza e di un’offerta speciale col ciclo delle maree. Voglio dire, l’acqua alta viene quando vuole lei, magari per una settimana tutti i giorni e poi più per tre mesi, non è che ti garantisce di occupare tutti i fine settimana da Natale a Carnevale. E se tu compri il pacchetto e l’acqua non sale, che fa il design hotel? Ti restituisce i soldi? Ti regala le galosce? Mah…
Passando ad aspetti più ameni dello stesso tema, ecco un po’ di immagini dell’acqua alta di stamattina a San Marco, dalle quali si evince qual è l’idea moda autunno-inverno di quest’anno:

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Molto meno impegnativo degli stivali di gomma, questo impermeabilino da piedi in tutti i colori-moda sta impazzando sulle bancarelle. Come si dice nella mia terra d’origine e’ durarà da Nadél a San Stevan ( = durerà da Natale a Santo Stefano) ma a chi viene in gita per un giorno che gl’importa? Registro piuttosto il colpo di genio del produttore o di chi per lui, che ha chiamato il modello goldon. Chi non sa cosa voglia dire, cerchi la parola sul dizionario: non proprio un esercizio di buon gusto ma senza ombra di dubbio un’immagine estremamente efficace.

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6 risposte a The high tide experience

  1. ausdemspielberg ha detto:

    Molti, moltissimi anni fa stavo raggiungendo un amico alla Marciana in una giornata proprio come questa. Avevo fretta e, a passo di carica, percorrevo la passerella parallela alla basilica di S. Marco con i miei Superga di gomma nera lucida al ginocchio (con calzino di lana d’ordinanza all’interno), che allora bastavano, ed erano d’avanzo. La mia corsa fu sbarrata da una comitiva di turisti giapponesi scalzi che, disposti a grappolo, immortalavano inutili scorci sbilenchi della piazza. Porcaccia! In un impeto di disappunto scendo d’un balzo dalla passerella per bypassarli in acqua e mi si squarcia lo stivale sinistro, proprio lungo la saldatura posteriore. Imbarcando acqua, entro in biblioteca: lo stivale è pieno, il calzino completamente zuppo ed il mio amico, probabilmente, fa finta di non conoscermi mentre, sciabordando ritmicamente, percorro il parquet della sala di lettura, tra due ali di studiosi scandalizzati e/o sghignazzanti.
    Da allora provo un sottile piacere nell’immaginarmi che una grossa pantegana, di quelle che approfittano dell’acqua alta per fare del nuoto di fondo, azzanni al tallone qualcuno di questi malcapitati.
    E scopro oggi, con soddisfazione, che i nuovi ritrovati della tecnica turistica veneziana, senza nulla togliere al mio godimento, aggiungerebbero solo un tocco di colore alla scena.

  2. gabrilu ha detto:

    Mi permetto di obiettare sommessamente: ma se uno capita a Venezia quando c’è l’acqua alta e deve fermarsi solo uno o due giorni e poi se ne deve tornare (esempio a caso 😉 ai 33° gradi dello scirocco panormita di fine novembre che fa, investe in stivali a lunga durata? Questi impermeabilini mi sembrano una soluzione pratica, economica e tutto sommato anche allegra. Terrò presente, che alla bisogna… 🙂

  3. gabrilu ha detto:

    A proposito e per curiosità, quanto li fanno pagare? No, perchè a Venezia capacissimi di farli pagare come fossero in cuoio di Russia…

  4. Davide ha detto:

    Contro l’acqua alta un nuovo “preservativo da gamba”

    PUNTURINE di Roberto Bianchin I veneziani non se ne accorgono neanche. Per il semplice motivo che non li comperano. E se non devono comperarli, neanche li guardano. Non li comperano per il fatto che quando devono proteggersi dall’acqua alta, i veneziani hanno (giustamente) orrore di stivali che non siano stivali veri. Cioè fatti di gomma e non di nylon o di altre schifezze. I veneziani hanno da sempre i loro bravi stivali di gomma autentica, verde o nera non si scappa (altri colori non sono ammessi), alti al ginocchio o all’inguine, a seconda. Non compererebbero mai quegli stivalacci di nylon in vendita nelle bancarelle, che ti fanno vergognare perché ti sembra di aver infilato i piedi dentro i sacchetti delle scoasse. I turisti invece li comperano, perché spesso sono costretti a farlo quando si trovano intrappolati in qualche posto dall’acqua alta, e perché gli stivali usa e getta hanno un grande vantaggio: costano molto meno degli stivali tradizionali, e non sono un impiccio che ti devi portare dietro tutto il giorno quando vai a passeggio, e magari all’improvviso spunta il sole e fai la figura dello scemo. Ma anche i turisti che li comperano, gli stivalacci di nylon, e che leggono cosa c’è scritto sulla confezione, non capiscono il significato di quel nome, scritto in grande, a lettere dorate, con cui è stato battezzato uno dei prodotti attualmente più venduti sul mercato lagunare e, pare, ora richiesti anche all’estero: “Goldon”. Senza l’accento. Probabilmente non ci fanno caso. Non si pongono il problema. Del resto, nella confezione, non c’è alcuna spiegazione al riguardo. Si legge solo che si tratta di “stivali soprascarpa multiuso e ripiegabili”, forniti di “cuciture impermeabili termosaldate ad alta frequenza”, buoni anche per il fango e per la neve, che pesano solo trecento grammi e hanno un ingombro così minimo che possono stare tranquillamente in una tasca. Sono di due colori (bianchi e gialli) e di tre taglie (S,M,L), e costano soltanto dieci euro. È un vero peccato che l’inventore dello stivale-preservativo, tale Davide Derton, trentunenne imprenditore trevigiano di Altivole, non spieghi – magari in più lingue – il significato del nome che spiritosamente gli ha dato. Non racconti che in lingua veneziana quella parola, pronunciata con l’accento sulla “o” finale, significa proprio profilattico. Fatto che, visto il prodotto che preserva – appunto – dall’acqua alta, rende bene l’idea. Peccato anche che non racconti urbi et orbi (era l’occasione giusta) che quella parola, e il significato dato a quella parola, almeno a Venezia e nel Veneto, derivano dal cognome di una persona realmente esistita: il commendator Franco Goldoni, imprenditore, discendente – pare – del più celebre Carlo Goldoni, il quale nel 1922 fondò a Casalecchio di Reno, alle porte di Bologna, la prima fabbrica italiana di profilattici: la mitica Hatù, oggi scomparsa, il cui nome derivava nientemeno che dal latino: HAbemus TUtorem. Si racconta infatti che per aprire quella fabbrica servisse all’epoca il permesso della Curia, e che lo stesso Cardinale di Bologna, Nasali Rocca, fosse venuto in soccorso al nostro Goldoni, spiegandogli che gli avrebbe concesso l’autorizzazione a patto che quell’invenzione non fosse “contra accipere”, cioè non servisse alla contraccezione, bensì per difendersi dalle malattie. “Pecca chi fa, non chi fabbrica”, aggiunse malizioso il Porporato. Dicono adesso che il preservativo da gamba si lancerà verso nuovi traguardi pubblicitari. Potrà infatti portare stampato il nome di prodotti, alberghi, ristoranti. Volendo anche quello di chi lo indossa.

    http://www.goldon.it

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